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A cura del dr. Alessandro Nobile
Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
Prof. Leone Giordano

Approccio multidisciplinare per il tumore del cavo orale

Il trattamento del tumore del cavo orale è multidisciplinare, ciò significa che oltre al chirurgo, anche l’oncologo, il radioterapista, l’anatomo-patologo e il radiologo avranno un ruolo chiave nella valutazione complessiva del paziente.

La presa in carico da parte di un gruppo di professionisti (team multidisciplinare) ha innumerevoli vantaggi, diverse figure che lavorano sullo stesso caso, confrontandosi e discutendo delle possibili soluzioni, migliora inevitabilmente il percorso del paziente.

Questo tipo di approccio permette infatti di eseguire tutti gli esami necessari nello stesso centro di riferimento, in modo tale da non avere ritardi nella discussione dell’iter diagnostico-terapeutico e di migliorare l’efficacia del trattamento con percorsi mirati.

Rivolgersi ad un centro d’eccellenza da, inoltre, la sicurezza al paziente di essere seguito da dei professionisti con una grande esperienza sulla patologia in questione.

Chirurgia per i tumori del cavo orale

La chirurgia è la prima opzione terapeutica, eventualmente seguita dalla radioterapia (RT) o chemioradioterapia (CTRT).

La chemio/radioterapia in prima battuta viene solitamente riservata quando sono presenti dei fattori di rischio che possano controindicare la chirurgia (rischio anestesiologico elevato, comorbilità, gravi cardiopatie, precedenti interventi chirurgici sull’area interessata), oppure quando parliamo di tumori localmente avanzati in cui l’approccio chirurgico appare da subito inefficace.

L’obiettivo è quello di rimuovere il tumore primario lasciando un margine di tessuto clinicamente sano (circa 1 cm) per assicurare l’asportazione completa della neoplasia.

Lesioni precancerose e tumori di piccole dimensioni

In caso di tumori di piccole dimensioni, generalmente sotto i 4 cm, e in assenza di coinvolgimento linfonodale, la chirurgia può essere limitata ad una exeresi transorale, ovvero un intervento chirurgico in cui viene asportata la neoformazione passando dal cavo orale senza cicatrici visibili esternamente, questo consente di mantenere ampi margini sani

Per quanto riguarda invece le lesioni precancerose della cavità orale, queste rappresentano delle lesioni con capacità di degenerazione verso la malignità, per cui costituiscono uno dei maggiori fattori di rischio per l’insorgenza di un tumore invasivo. In questi casi l’uso del laser a CO2 fornisce molti vantaggi, tra cui: rischio di sanguinamento molto contenuto associato ad una notevole accuratezza di taglio. Questo favorisce oltre ad un dolore post-operatorio molto contenuto per il paziente, anche un recupero funzionale più veloce

Essendo quindi un taglio molto preciso con un’estensione molto limitata, la quantità di sostanza che viene persa risulta poca, tanto da poter riaccostare i margini con l’ausilio di punti di sutura riassorbibili.

Altre volte, alla fase demolitiva, in cui si asporta il tumore in tessuto sano e con adeguati margini di sicurezza, dovrà essere associata quella ricostruttiva, per una corretta riparazione sia funzionale (es. deglutizione, fonazione) che estetica della zona interessata, in modo tale da separarla anatomicamente da altre sedi operate (es. il collo).

Tumore del cavo orale localmente avanzato

In caso di tumori più avanzati localmente, oltre alla rimozione del tumore deve essere associato uno “svuotamento dei linfonodi del collo”, ovvero una fase chirurgica dedicata alla rimozione dei linfonodi del collo, essendo quest’ultimi la prima e principale via di disseminazione delle neoplasie del cavo orale a livello sistemico; spesso è monolaterale (stesso lato rispetto al sito della lesione), e può essere profilattico (in caso di tumori di dimensioni abbastanza importanti ma in assenza di metastasi linfonodali clinicamente rilevabili) o terapeutico (in caso di metastasi linfonodali clinicamente rilevabili). 

Talvolta, lo svuotamento linfonodale può essere eseguito in blocco unico con l’asportazione della lesione del cavo orale, questo significa che attraverso un unico accesso dalla regione cervicale, verranno rimossi sia i linfonodi che la lesione tumorale. 

In caso di tumori particolarmente voluminosi (> 4 cm) o in condizioni in cui la neoplasia risulti difficile da aggredire con un approccio transorale (es. tumore del base lingua), può rendersi necessario un approccio transmandibolare, ovvero con l’apertura della mandibola attraverso un piccolo taglio della stessa, che va ad interrompere la continuità dell’osso (mandibulotomia) e la sua successiva riparazione mediante viti e placche. In caso di invasione della mandibola stessa, invece, può rendersi necessaria l’asportazione di parte di essa (mandibulectomia), condizione che può essere comunque trattata con successo come vedremo in seguito, con l’utilizzo di lembi particolari.

Ricostruzione dei tessuti

In caso di tumori localmente avanzati, a seguito dell’asportazione della lesione, la perdita di sostanza, legata all’asportazione della malattia, deve essere ricostruita, al fine di garantire un buon esito funzionale

Per la ricostruzione dei tessuti possono essere utilizzati innesti, lembi locali, peduncolati o liberi. 

Nella scelta del lembo ricostruttivo vanno calcolati il volume, lo spessore, la mobilità residua e la possibilità di donare sensibilità all’organo ricostruito. Possono essere composti da vari tipi di tessuto: cute, tessuto adiposo, muscolo e osso combinati tra loro.

Per lembo locale si intende una porzione di tessuto con una componente vascolare random che ne assicura il nutrimento, quindi una riparazione che avviene utilizzando del tessuto circostante al sito chirurgico.

Il lembo peduncolato prevede il trasferimento di una porzione di tessuto nutrita da un peduncolo vascolare che viene identificato ed isolato, quest’ultimo serve a garantire la vitalità del lembo stesso, fino a quando, dopo alcune settimane dall’intervento chirurgico, non si instaurano nuove connessioni vascolari col sito ricevente, in questi casi è possibile procedere all’autonomizzazione del lembo, ovvero una sezione del peduncolo vascolare.

Il lembo libero è considerato un vero trapianto (si preleva il tessuto con il proprio peduncolo vascolare e quest’ultimo viene poi suturato ai vasi del collo per rivascolarizzare il lembo), quindi si parla di un trasferimento di tessuto da una zona all’altra. I lembi liberi, più utilizzati sono quello di avambraccio (lembo fasciocutaneo radiale) e di coscia (lembo fascicutaneo antero-laterale di coscia), permettono una grande versatilità di utilizzo, non essendo vincolati dalla lunghezza e dall’arco di rotazione del peduncolo vascolare. Il loro utilizzo, però, implica dei tempi di sala operatoria decisamente più lunghi (tra le 8 e le 12 ore) che non sono sostenibili per tutte le tipologie di pazienti

I più utilizzati sono sicuramente i lembi peduncolati o locali, tra i quali: il lembo di muscolo gran pettorale (lembo miofasciale o fasciomiocutaneo di muscolo gran pettorale), il lembo di sovraclaveare (lembo fasciocutaneo sovraclaveare) o il lembo di mucosa geniena (FAMM flap). Questi lembi sono sicuramente meno versatili rispetto ai lembi liberi e risultano essere vincolati dalla lunghezza e dall’arco di rotazione del peduncolo vascolare, ma talvolta offrono risultati che sono sovrapponibili o di poco inferiori a quelli dei lembi liberi

La ricostruzione più valida ed efficace si ottiene con lembi compositi in cui viene prelevata, oltre alla porzione cutanea, anche una porzione ossea, per esempio nelle ricostruzioni mandibolari si può utilizzare un segmento di fibula, che viene sagomato a riscostruire la parte di mandibola rimossa e sul quale potranno essere eseguiti impianti dentali osteointegrati.

Tracheostomia temporanea

In tutti questi casi, si associa l’esecuzione di una tracheostomia temporanea, una comunicazione diretta tra la trachea e l’ambiente esterno, aprendo uno sportellino sulla stessa, connettendola alla cute vicina, al fine di proteggere le vie aeree dall’edema post-chirurgico e da eventuali sanguinamenti post-operatori.

Nel momento in cui il rischio chirurgico è basso la tracheostomia può essere chiusa, in questi casi si esegue la rimozione della cannula e i tessuti tendono spontaneamente alla guarigione e quindi alla chiusura dello stoma nel giro di qualche settimana.

Terapie adiuvanti e follow up

Il campione biologico prelevato dal paziente, quindi la parte tumorale ed eventualmente anche i linfonodi se vengono rimossi, viene inviato ad un laboratorio analisi, al fine di stabilire l’esatta eziologia della patologia tumorale. La tempistica per avere un riscontro può variare da 2 a 4 settimane, in questi casi si parla di esame istologico definitivo.

Il successivo iter può consistere nel solo periodico follow-up, oppure può esserci la necessità di terapie adiuvanti (radioterapia con eventuale chemioterapia concomitante), in base alla stadiazione patologica della malattia.

Il follow-up è il periodo conclusivo delle cure che prevede controlli periodici con esami del sangue ed esami di imaging (es. TC, RMN). All’inizio i controlli risulteranno più vicini nel tempo, ogni 3-6 mesi nei primi 2-3 anni, per poi diventare dei controlli annuali. La durata risulta essere in totale di 5 anni, con dei controlli che saranno programmati sia da parte del chirurgo, sia da parte dell’oncologo.